martedì 6 luglio 2010

IL MIO NOME È FLEMING

1- L’ATTIMO FUGGENTE

Ian Fleming nasce il 29 maggio del 1908 nel quartiere di Mayfair a Londra. Il nonno, lo scozzese Robert Fleming, ha fatto fortuna in America ed è considerato il padre delle società finanziarie d’investimento. Il padre di Ian, Valentine, è uno di quei personaggi edoardiani di nobile lignaggio, essendo cresciuto in un ambiente raffinato. Frequenta prima Eton, poi Oxford, laureandosi in legge. Diventa poi deputato per l’Oxfordshire meridionale e il 18 febbraio del 1906, all’età di 24 anni, sposa Evelyn St. Croix Rose, una provinciale schiva e riservata.
Fin da piccolo Ian è un bambino robusto, vivace e malinconico; il suo temperamento appare subito anticonvenzionale e poco incline allo studio. Mandato col fratello Peter (più grande di un anno) alla Duruford School, Ian detesta immediatamente l’ambiente autoritario e la disciplina rigida.
La perdita del padre, avvenuta nel maggio del 1917, durante il primo conflitto mondiale, è destinata a influenzare l’adolescenza del giovane, che vede nel genitore una figura leggendaria, che con il suo coraggio si è meritato un elogio funebre sul Times di Winston Churchill.
Il ricchissimo Valentine lascia tutti i suoi beni alla moglie che si trova così a dover badare ai figli da sola.
Sia Peter che Ian si iscrivono a Eton ma, a differenza di Peter che subito eccelle nello studio, Ian si distingue solo nello sport, diventando Victor Ludorum in atletica leggera. A causa del suo comportamento con le ragazze egli è poi costretto ad abbandonare il college con un trimestre d’anticipo per intraprendere la carriera militare a Sandhurst. Tuttavia, anche quell’esperienza dura poco. Dopo un solo semestre, infatti, il ragazzo dà le dimissioni dal collegio militare.
Disperata, la madre manda il diciassettenne Ian a Kitzbüel presso la famiglia Forbis Dennis. I coniugi esercitano una grande influenza sul giovane, facendogli da istitutori e avviandolo alla carriera diplomatica. È qui che Ian scopre il suo amore per i libri, per le donne e per la montagna.
Ian, inoltre, nel corso della sua permanenza migliora il suo francese, il tedesco e inizia a parlare il russo. Il concorso in diplomazia si rivela però un altro fallimento. Fleming dopo quattro anni è costretto a tornare a vivere dalla madre. Quest’ultima, preoccupata dalle disavventure del figlio, si adopera affinché trovi al più presto un’occupazione redditizia. È lei a procurare al figlio un lavoro presso l’agenzia giornalistica Reuter. Dopo un periodo di prova di sei mesi, nel corso del quale egli si dimostra entusiasta, arriva la prima grande occasione. A Fleming, infatti, è concessa l’opportunità di andare a Mosca per seguire il processo a sei britannici della società elettrica Metropolitan-Vickers, accusati nel marzo del 1933 dalla polizia sovietica (la temibile Glepeù) di spionaggio e sabotaggio. Il processo è ormai entrato nella storia accanto alle grandi purghe staliniane degli anni ’30. La permanenza a Mosca si rivela fondamentale per il neo giornalista, che ha modo di osservare da vicino i metodi della Glepeù. È questa un’esperienza destinata a divenire preziosa molti anni dopo nel corso della stesura di Dalla Russia con Amore. Durante il processo, che si conclude con la condanna di 5 dipendenti (espulsi più tardi dall’URSS), Fleming dimostra inventiva e spirito di iniziativa, con piena soddisfazione della Reuter.
L’agenzia vorrebbe proseguire la collaborazione ma Fleming rinuncia al ruolo di corrispondente a Shangai per intraprendere la professione di agente di borsa.
Dopo avere lavorato per qualche anno nella City Fleming è chiamato a un nuovo incarico, decisamente più movimentato.

Una mattina di maggio del 1939 il trentenne è invitato a pranzo dal contrammiraglio John Godfrey, nominato da poco Direttore del servizio informazione della Marina (NID). Nell’imminenza del conflitto, Godfrey ha l’incarico di rimettere in azione l’organizzazione spionistica e ha bisogno di un assistente. Ian accetta con entusiasmo l’offerta, giacché l’occasione gli sembra perfetta per alimentare i suoi sogni di avventura. Per quasi sei anni lavora nella mitica stanza numero 38 dell’Ammiragliato, teatro di tutte le decisioni più importanti della seconda guerra mondiale. Qui ha modo di emergere grazie alla sua dedizione, alla sua fantasia e al suo coraggio. L’esperienza è una palestra essenziale, dalla quale Fleming attingerà a piene mani nei suoi romanzi.
Nel corso del conflitto partecipa attivamente a varie missioni diplomatiche, viaggia a Tangeri, a Lisbona, è impegnato in Francia durante la capitolazione del governo francese, va in America e assiste alla nascita dei servizi segreti americani. Si distingue inoltre per le sue bizzarre idee, come quella di proporre il mago Alistair Crowley nel ruolo di mediatore con Rudolph Hess, oppure di studiare la vita dell’Oberturbandführer Otto Skorzeny, responsabile dello spionaggio tedesco. Imitando il suo antagonista egli crea l’unità d’assalto 30, una delle più straordinarie formazioni autonome dell’esercito britannico, che ha il compito di recuperare i documenti bellici del nemico.

Nell’autunno del 1944, dopo essersi recato a Washington per un lavoro di collegamento con il servizio segreto della marina statunitense, Fleming si reca a Kingston, in Giamaica, per rappresentare il NID a una conferenza sulla minaccia dei sommergibili tedeschi nel Mar dei Caraibi. Per arrivarci parte con l’amico Ivar Bryce per un lungo viaggio in treno sul Silver Meteor. È un viaggio talmente affascinante che egli in seguito lo utilizzerà in Vivi e lascia morire. Fleming ama da subito la Giamaica e, con una delle sue decisioni impulsive, decide di eleggerla a futura residenza estiva. Chiede pertanto all’amico Bryce di trovargli sei ettari di terreno da acquistare e questi li trova presso Oracabessa. Quando vede le fotografie del terreno, con la sua spiaggetta nascosta e la giungla alle spalle, Fleming non esita un istante e acquista il lotto, progettando personalmente la casa che chiama Goldeneye. Il nome glielo suggerisce il romanzo di Carson McCullers Riflessi in un occhio d’oro (in inglese Reflections in a Golden Eye).
Il 10 novembre del 1945 Fleming si congeda dall’esercito. A 37 anni è un uomo che deve reinventarsi una vita. Dopo essersi baloccato con l’idea di entrare nei servizi segreti dell’MI6, accetta l’offerta di Lord Kemsley di organizzare un servizio di notizie estere per la sua catena di giornali, tra i quali c’è anche il Sunday Times. Il compenso di 5000 sterline annue è buono, inoltre Fleming ottiene due mesi di ferie l’anno, nelle quali si rifugia a Goldeneye, accanto all’amico Noel Coward, dedicandosi al nuoto, alle immersioni e alla caccia agli squali. Tuttavia dopo qualche anno quel lavoro diventa per lui una prigione e il suo animo inquieto si risveglia, incapace di sopportare le beghe quotidiane d’ufficio. Nel 1949 capisce che le speranze riposte in una carriera giornalistica ad alto livello sono svanite. Ancora una volta la delusione gli suscita profonde crisi di malinconia, che stempera con le 70 sigarette quotidiane e un quarto di litro di gin. La salute comincia a vacillare. Fleming accusa un senso d’oppressione al petto che i dottori all’inizio sottovalutano.
Durante questi anni coltiva amicizie importanti anche nel campo dell’editoria. Innanzitutto il poeta e romanziere William Plomer, suo collega al NID durante la guerra, e consulente letterario dell’editore Jonathan Cape. Un’altra relazione importante è quella con la poetessa Dame Edith Sitwell, con la quale condivide la passione per Paracelso. E poi il commediografo Noel Coward, suo vicino di casa in Giamaica.
Il 24 marzo del 1952, a 43 anni, Fleming si sposa con Lady Rothermere, già Lady O’Neill, nata Anne Charteris. La donna, intelligente, forte e determinata, fa breccia nel cuore del maschilista inveterato dopo una relazione durata sei anni.

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